Terzo appuntamento della rubrica parleremo di magia.
Dal genio elettro/musical/ingegneristico di Robert Keeley, El Rey Dorado.

Se per Silvan è “Sim sala bim” e per Merlino è “Abracadabra”, per noi suonatori di fili d’acciaio tesi esiste una sola parola capace di farti allungare istantaneamente la barba fino all’ombelico, avvitarti un cappello a tesa larga in testa e inforcarti gli occhiali da sole anche al chiuso: la parola magica è JTM. Era il 1962 e un certo Jim progetta, realizza e mette sul mercato la sua propria versione di un ampli che adorava, il Fender Bluesbraker. Ci appiccica il proprio cognome sopra e lo battezza con le iniziali sue e di suo figlio Terry, realizzando la ricetta perfetta al gusto speziato di Leggenda.
Finito sui palchi e nelle sale prova di tutti, ma proprio tutti, ci siamo abituati a farci assordare da quel parallelepipedo foderato di tolex, più pesante di un bilico a pieno carico e dal fronte dorato, diventato parte della scenografia live dei nostri eroi a sei corde.
Il suono caratteristico del Re degli amplificatori viene catturato, compattato e smussato a dovere per stare dentro un pedale, dal genio elettro/musical/ingegneristico di Robert Keeley che ci regala un vero e proprio tesoro di suono inglese, tutto d’oro: El Rey Dorado.
Fedele riproduzione sonica di un JTM 45/100 della sua collezione personale, Robert ci mette in pedaliera il sound di quei dischi che stazionano da decenni nei nostri ascolti, passando da vinile a cassetta a cd, fino alla playlist di Spotify che proprio non vuoi mollare, con l’immediatezza e la semplicità di chi sa perfettamente dove andare a parare, quando si parla di puro Plexi Sound.

DATEMI UNA LEVETTA E…
Fra Nerd si parla comunemente di Plexi, facendo inconsapevolmente riferimento a “quella Plexi”: la Super Lead 100 watt, resa celebre da soggetti quali Hendrix, Clapton e Townshend alla fine degli anni ’60, con il suo carico di volume spropositato e tono brillante e maleducato. Ma sappiamo bene che di versioni Plexi ce ne sono varie, anche più civili, come la primordiale JTM45.
Il buon Robert Keeley ci promette di restituirci le voci delle diverse versioni dell’ampli dorato, agendo sui semplici controlli e sulla levetta che troviamo al centro, destinata a selezionare due modalità di clipping del pedale: Low Power e High Power. Low Power, verso sinistra, suona più forte e rotonda, meno estesa sulle armoniche superiori per un sound crunch più vintage-oriented; High Power è più compressa, aperta in alto e definita, destinata ai lead più roventi e gridati.

DON’T CALL ME PLEXI
La questione esilarante è che la Marshall non ha mai prodotto o commercializzato un ampli a nome ‘Plexi’, da dove diavolo deriva allora il nome dell’Ampli, quello con la maiuscola ad inizio parola? Ce lo spiega Phil Wells, specialista e collaboratore di Jim Marshall sin dall’inizio: “Il termine Plexi fa riferimento al pannello di plexiglass usato per il frontale degli ampli dai ’60 fino ai primi ’70, quando venne sostituito dall’alluminio, più economico da produrre. Si può trovare il Plexiglass anche in alcuni esemplari del ’73, perché avevamo scoperto di averne ancora in magazzino e Jim non era certo il tipo da lasciare inutilizzato del materiale utile”.
Negli anni l’alluminio (dorato) è diventato lo standard, relegando il plexiglass alle sole reissue di prodotti d’annata, non soltanto per contenere i costi ma anche perché decisamente più durevole e robusto del materiale originale.

NEW OLD SCHOOL
Le Plexi, come altri ampli di epoca ’60/’70, sono delle bombe di potenza e pressione sonora, progettate per amplificare tutta la band in situazioni in cui non esisteva un impianto. Ecco che si spiegano gli stack 8×12, i 100/120 watt valvolari e soprattutto i 4 ingressi sul frontale. Ma il chitarrista, si sa, è un egocentrico, malato di primadonnismo. Ha pensato bene di ponticellare e boostare progressivamente il segnale, fino a creare la caratteristica saturazione tellurica e ultradinamica dell’ampli dorato per eccellenza. Un azzardo, se vogliamo un vero e proprio errore/orrore tecnico, che ha dato vita ad uno dei suoni più caratteristici e immortali della storia del Rock, e forse di tutta la musica degli ultimi 60 anni.
Avere la possibilità di portarsi in tasca quel suono, quella pacca e quel retaggio è una delle meraviglie dei giorni nostri e Keeley meriterebbe, per El Rey Dorado, il premio Nobel per il Tono!
UN PO’ DI STORIA
Quando mamma è un ingegnere elettronico esattamente come papà, per di più musicista sui palchi della U.S. Air Force, non si può che parlare di predestinazione. Un viatico, un filo rosso concettuale che si insinua nella mente di un ragazzo, perdutamente innamorato di un lavoro fatto di pazienza e ingegno, corrente elettrica e passione. Un predestinato, Robert Keeley, ormai una vera e propria superstar per quelli, come noi, che hanno la passione (o forse la malattia) dei pedali per chitarra.
Robert ha inventato alcuni dei pedali di maggior successo dell’intero mercato mondiale, dal famosissimo Compressore, che ne porta il nome, fino al Katana Boost, mettendo migliaia di musicisti nelle condizioni di avere finalmente tra le mani il suono che avevano sempre, soltanto, osato sognare.
Oggi la Keeley Electronics è una delle aziende produttrici di stompboxes più rispettate e prolifiche del pianeta, con un catalogo che spazia su una moltitudine di effetti creativi, dedicati ad espandere il linguaggio e i colori a disposizione del musicista. Soluzioni sempre più centrate, ergonomiche e compatte, ma che non cedono di un millimetro in fatto di sonorità, semplicemente eccezionale.